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Il culto della Santa presso i montefiorani ha piu di mille anni; l’erezione di una antichissima pieve ne testimonia la presenza. Forse il culto della Santa fu introdotto nel periodo longobardo, in quanto anche la terra di Montefiore dipendeva dal Ducato Longobardo di Spoleto e questo, nel secolo VIII, si era esteso anche in Sicilia terra della Santa; oppure si è cominciato a venerare Santa Lucia nel periodo dei farfensi di Santa Vittoria in Matenano con la costruzione della Pieve fuori dalle mura castellane.
Presso la Colleggiata di Santa Lucia è gelosamente custodito un reliquario contenente un dito della Santa. Il documento notarile del 1709 che accompagna il reliquario dice:
“..frammenti di ossa della Vergine e Martire santa Lucia, collocati e adattati entro un piccolo reliquario d’argento a forma ovale munito di cristallo, provenienti da numerose sacre reliquie raccolte in seguito a ricognizioni, collocazione e sgillatura di molte sacre reliquie…”
Benchè la Festa di Santa Lucia fosse al 13 dicembre, a Montefiore dell’Aso i festeggiamenti si tengono nel corso dell’ultimo week end del mese di maggio.
Nel corso di festeggiamenti si tengono eventi religiose e civili: tridui, messe di ringraziamento, preghiere comuni. La festa civile si presenta con gare di briscola, di corsa al cavallo e grandi giochi pirotecnici. Musiche Bandistiche e complessi di musica leggera allietano le giornate di festa.
La Storia di Santa Lucia
LA FAMIGLIA DI LUCIA
Sul finire del III secolo (anno 281?) nacque a Siracusa S. Lucia. La città natale era famosa per essere stata fiorente centro di vita greca prima e poi d’importante commercio, intimamente legata alle vicende delle guerre puniche: conquistata da Roma nel 212 a. C. assolse una funzione notevole tra le città della provincia di Sicilia. Diffusosi il cristianesimo in età apostolica per merito del vescovo S. Marziano, inviato a Siracusa da S. Pietro stesso secondo la tradizione, ospitò l’apostolo S. Paolo per tre giorni nel viaggio verso Roma, come testimoniano gli Atti degli Apostoli. La fede di Cristo, nonostante le varie persecuzioni, si era potuta diffondere notevolmente: quando nacque S. Lucia la colonia cristiana era assai numerosa con le sue chiese e le sue catacombe cimiteriali.
Secondo la tradizione, la famiglia della nostra santa era di nobile stirpe e ricca di possedimenti terrieri: ci è lasciato il nome della madre: Eutichia; del padre è detto che morì quando Lucia era quinquenne appena. Probabilmente egli poteva chiamarsi Lucio, data la norma romana di porre alle figliuole il nome del padre. Anche la famiglia forse era già cristiana se consideriamo il nome imposto a Lucia, tipicamente cristiano secondo qualcuno, ispirato al testo paolino « siete figli della luce ». Lucia significa senz’altro Luce per il dotto Tillemont.
LA GIOVINEZZA
Cresceva bella e buona la bimba siracusana, sotto lo sguardo vigile della madre: soprattutto era bella nella modestia del portamento, onde la madre già pensava per lei la soluzione di un felice matrimonio.
Invece Lucia aveva ben altro proposito nella sua vita: si era consacrata perennemente al Signore con voto di verginità. Neanche la madre fu a conoscenza di questo.Soltanto un insieme di circostanze fortuite resero manifesta la sua consacrazione al Signore.
Alla vicina città di Catania, ogni anno solevano andare in folla i cristiani per venerare il corpo della vergine martire S. Agata, morta per la fede di Cristo nel 231, durante la persecuzione di Decio. I miracoli, che avvenivano presso il suo sepolcro, ne avevano diffuso la fama in tutta la Sicilia cristiana.
Il 5 febbraio del 301, festa della Santa, tra i pellegrini c’erano anche Lucia ed Eutichia sua madre. Da oltre quarant’anni Eutichia soffriva di gravi emorragie, per le quali nessun rimedio era stato utile: ormai aveva perduto ogni speranza di guarire.In quel giorno, durante i sacri misteri, fu letto il tratto evangelico, che narrava l’episodio dell’emoroissa: una malattia identica alla sua. Il testo evangelico fu compreso bene dalle due donne. Una fiducia insperata di poter guarire provò Eutichia e viva fede ebbe Lucia nella potenza miracolosa di S. Agata. L’emoroissa era guarita appena aveva toccato la veste del Signore: la madre di Lucia sarebbe stata risanata se invece avesse toccato il sepolcro della santa martire. Così Lucia suggerì a sua madre. Sul far della sera, quando tutti ebbero lasciato la chiesa, le due donne rimasero nella penombra in fiduciosa preghiera accanto al sepolcro di S. Agata. Le loro parole alla Santa erano di intensa richiesta di guarigione. A lungo però non poterono pregare ché il sonno ebbe il sopravvento e Lucia si addormentò profondamente lì nella penombra della chiesa, accanto al sepolcro della martire catanese.Nel sonno le parve di aver presente una visione nitida: schiere e schiere di angeli circondavano la vergine S. Agata, che sorrideva a Lucia e le diceva: « Lucia sorella mia, vergine di Dio, perché chiedi a me ciò che tu stessa puoi concedere ? Infatti la tua fede ha giovato a tua madre ed ecco che è divenuta sana ».
Quando Lucia si svegliò, rivelò alla madre la visione serena e le parole risanatrici di S. Agata. Era guarita la madre. Inoltre era questo il momento opportuno.di farle conoscere il suo voto di verginità. Così in realtà fece. Nessun rammarico mostrò la donna per questo proposito santo: anzi le disse che ogni sua cosa personale, dopo la morte, le sarebbe stata lasciata. Il momento era adatto per Lucia per suggerire alla madre propositi di maggiore perfezione, giacché manifestava così vivamente il distacco dai beni della terra; onde la consigliò di vendere tutte le sue sostanze e darle ai poveri.
Per allora Eutichia non fece alcun progetto, ma poi, ritornate, a Siracusa, Lucia riprese ancora a parlarle dell’ideale di perfetta povertà. Ben presto si decise di vendere i suoi beni e distribuire il ricavato ai poveri, seguendo gli esempi della primitiva chiesa di Gerusalemme. Una tale elargizione se era esemplare nella fervente comunità cristiana di Siracusa, destava senz’altro lo stupore dei pagani, per i quali i beni di questo mondo erano le cose migliori della vita. Ordinariamente un gesto del genere era sintomo evidente di fede cristiana: solo i seguaci di Cristo giungevano a disprezzare i beni della terra al punto da venderli e darli ai poveri. E così pensò uno a cui molto interessavano i beni di Lucia: un giovane del quale la tradizione non ha conservato il nome e che desiderava vivamente di farla sua sposa.
Dalla madre di Lucia volle sapere perché la figliuola vendeva le vesti preziose e gli ornamenti; per quale ragione distribuiva il ricavato ai poveri, alle vedove ed ai ministri del culto cristiano. Eutichia diede una risposta evasiva, che per il momento lo rese tranquillo. Ma in seguito il sospetto che Lucia fosse cristiana divenne certezza: visto fallire il suo desiderio di averla come sposa, poiché ella lo aveva respinto, decise di denunciarla al prefetto della città come cristiana e di conseguenza fossero applicati a lei i decreti imperiali.
LA PERSECUZIONE DI DIOCLEZIANO
Allora per la chiesa cattolica non erano tempi tranquilli: l’imperatore Diocleziano nel vano tentativo di arrestare l’inevitabile crisi dell’Impero romano stava attuando varie riforme, da quella amministrativa a quella economica, fiducioso di riportare lo Stato romano ai tempi migliori. Nel suo vasto piano di rinnovamento generale, anche la riforma religiosa doveva avere la sua importanza, come riforma delle coscienze: il culto imperiale doveva essere il veicolo di penetrazione interiore del senso della romanità e della potenza dell’impero. Approfittando di un complesso di circostanze, emanò i suoi editti di persecuzione contro i cristiani il 24 febbraio del 303. Fu la più feroce persecuzione la sua, soprattutto nelle province, dove funzionari zelantissimi la applicarono ciecamente. Lattanzio (de mort. persec. 10) ha scritto pagine celebri sulla furia di codesta persecuzione.
IL MARTIRIO
Lucia comprese che ormai era giunto il momento di confessare Cristo con il martirio: si pose in ginocchio pronta a ricevere il colpo mortale. Prima però volle parlare alla gran folla che nel frattempo si era radunata attorno a lei: disse che la persecuzione contro i Cristiani stava terminando e la pace per la Chiesa era imminente con la caduta dell’imperatore Diocleziano. Ricordò loro che Siracusa l’avrebbe sempre onorata così come la vicina Catania aveva in venerazione S. Agata. Quando ebbe terminato di parlare, venne il colpo mortale che le recise il capo consacrandone la verginità con il martirio.
Era il 13 dicembre del 304, secondo quanto narra la tradizione.
STORIA DEL SUO CULTO
Deposto il suo corpo nelle catacombe, che da lei presero il nome, divenne il suo sepolcro ben presto famoso richiamando i fedeli che ne ricevevano grazie abbondanti. Fu subito la Santa per eccellenza dei siracusani. In iscrizioni greche delle catacombe siracusane, anche dopo un secolo dal martirio è detto «la nostra santa Lucia ». Soprattutto è rimasta famosa la iscrizione di Euschia venuta alla luce nel 1894 in escavi archeologici. Essa dice «Euschia la irreprensibile, vissuta buona e pura per anni circa 25, morì nella festa della mia Santa Lucia per la quale non vi ha elogio condegno: (fu) cristiana, fedele, perfetta, grata al suo marito di morta gratitudine».
All’inizio del V secolo, data dell’iscrizione, la Santa era ormai popolare: Euschia, questa donna, muore giovane nel giorno festivo della sua patrona, che nessuno può elogiare in maniera conveniente giacché ormai tutti ne conoscevano vita, virtù e prodigi. Secondo il breviario GalloSiculo sopra il sepolcro di S. Lucia sarebbe stata innalzata una basilica nel 310: addirittura sette anni dopo il martirio!
Se la notizia è discutibile per questa data, si può peraltro ammettere che la basilica sia stata eretta non molto tempo dopo la sua morte: comunque prima della citata iscrizione di Euschia.
Il suo culto ben presto si diffuse fuori della Sicilia stessa come documentano le stratificazioni più antiche del martirologio Geronimiano: prova ne siano l’inserzione del nome della Santa nel Canone della Messa da parte di papa S. Gregorio Magno ( 604), la devozione in Roma stessa, dove le vennero dedicate una ventina di chiese e nell’Italia settentrionale, dove la troviamo effigiata a Ravenna in S. Apollinare Nuovo nella processione delle vergini, in Inghilterra, nella chiesa Greca, dove il Damasceno stesso compose la liturgia in onore della Santa. Dopo le scoperte geografiche del secolo XV, il suo culto si estende particolarmente nell’America Latina, nell’Africa, in alcuni luoghi dell’America del Nord. Nella devozione popolare la sua vita si arricchisce di particolari leggendari: il più famoso è quello di credere che la santa stessa si sia levata gli occhi inviandoli in un bacile di argento al giovane, che si era innamorato del loro splendore affascinante oppure, secondo la versione, accettata fra l’altro anche dall’umanista Battista Mantovano, li abbia mandati a Pascasio stesso, ma subito le siano stati rimessi con improvviso miracolo, poiché S. Raffaele sarebbe sceso da cielo a compierlo.
Non sappiamo quando sia nata la leggenda (ma è probabile di età umanistica), che presenta una particolare somiglianza con episodi consimili verificatisi nella favolistica indiana: forse si è dato il caso di omonimia con un’altra Santa, che si sarebbe tolta gli occhi per liberarsi da un’incauta persona, o meglio per un processo di etimologia popolare del nome ravvisando il rapporto: Lucia = luce, oppure come suggerisce il Delehaye, quale exvoto di devoto guarito. Di conseguenza, in base ai principi della pietà popolare, S. Lucia fu invocata per proteggere la luce degli occhi, cioè la vista. Forse, secondo quanto insinua il dotto Garana, codesto rapporto è antichissimo, come può risultare dall’iscrizione di Euschia del IV secolo, nella quale il nome della devota nel valore di « ombrosa » può alludere ad affezione morbosa della vista. Certo nell’appendice miracolistica, annessa al racconto della traslazione veneziana del 1280 (ma giuntaci in un testo quattrocentesco), sono documentati alcuni miracoli di vista riacquistata. Una prova ulteriore è data da quanto la tradizione afferma di Dante Alighieri, almeno stando ai dati del figlio Jacopo, per cui il poeta sarebbe guarito da grave danno alla vista subito per le lagrime sparse in morte di Beatrice, dopo di aver invocato spesso S. Lucia durante il male, onde l’ha collocata nel secondo canto dell’Inferno, nel nono del Purgatorio e nel trentatreesimo del Paradiso: non più dunque in sola funzione allegorica, quanto invece come gesto di riconoscenza devota.
ICONOGRAFIA DELLA SANTA
Il culto veneziano della Santa è provato tra l’altro dal Kalendarium Venetum del XI secolo, e poi nei Messali locali del secolo XV, nonché nel Memoriale Franco e Barbaresco dell’inizio del 1500, dove è considerata festa di palazzo, cioè festività civile.
Sin dal 1107 sorgeva una chiesa in suo onore all’estremità occidentale del Canal Grande, forse parrocchia nel 1182, dove poi nel 1313 riscontriamo con sicurezza il corpo della Santa. In essa esisteva la scuola a lei intitolata sin dal 1323, a cui nel 1703 fu aggiunto un sovvegno. Ma in nessun’altra chiesa veneziana notiamo scuole in suo onore, tranne a 5. Moisè, poiché qui sin dal 1313 esisteva una scuola per i ciechi, onde fu naturale il culto alla Santa patrona della vista.
Prova più vasta dell’importanza della Santa nella pietà veneziana è pure desumibile dalla sua iconografia in pale d’altare, per buona parte di origine e sviluppo posttridentino. Così si veda a S. Marco (mosaici dei secoli XVI e XVII); nella pala con la Vergine e Santi, di Giovanni Bellini a S. Zaccaria; a S. Giovanni in Bragora in polittico di Iacobello del Fiore; in quella di S. Nicolò, del Lotto ai Carmini; a S. Giovanni Crisostomo, nella pala di Sebastiano del Piombo; a S. Martino; a S. Elisabetta del Lido; a S. Stefano nella pala dell’Immacolata, del Menescardi; a S. Giorgio Maggiore, di Leandro Bassano; ai Tolentini, del Peranda; ai SS. Apostoli, di Giambattista Tiepolo, ma soprattutto in chiesa, ora, a S. Geremia in tele della demolita chiesa di S. Lucia.
Tralascio le altre documentazioni iconografiche nei musei e raccolte private veneziane, poiché ora non sono più oggetto di culto; alla pari accenno solo al vasto repertorio iconografico nella pittura veneziana e veneta, fuori di Venezia, come, per fare un nome, in Cima da Conegliano. Nell’ambito della diocesi, si notino le storie della Santa in affresco del duomo di Caorle, navata destra, di anonimo trecentesco, e la Santa in pala di altare laterale nella chiesa di Oriago, di anonimo settecentesco; in altare laterale nella chiesa di Chirignago di anonimo neoclassico.
Il tipo iconografico, sino al periodo posttridentino, non sempre la dà con gli occhi in mano: a volte, come in Cima, tiene la lampada verginale fra le mani (poittico di Olera; pala di Lisbona); il motivo degli occhi sul bacile di argento, sebbene sia presente anche in fase pretridentina, è poi costante in quella posttridentina.
STORIA DELLE SUE RELIQUIE
Il corpo di S. Lucia rimase in Siracusa per molti secoli: dalla catacomba, dove fu sepolto, fu poi portato nella basilica eretta in suo onore, presso la quale, all’inizio del VI secolo, fu costruito un monastero. Nella minaccia araba per il suo sepolcro nell’878, dopo la conquista islamica della Sicilia, il suo corpo fu nascosto in un luogo segreto. Nel 1039, appena Maniace, generale di Bisanzio, riuscì a strappare Siracusa agli Arabi, condusse le reliquie a Costantinopoli, o come preda di guerra o, secondo l’affermazione della Cronaca del doge Andrea Dandolo, su preciso ordine degli imperatori Basilio e Costantino. Invece secondo la tradizione francese, il corpo della Santa fu levato da Siracusa nel corso del secolo VIII da Feroaldo, duca di Spoleto, dopo la conquista della città che lo recò a Corfinio, donde il vescovo di Metz lo avrebbe trasferito nella sua città episcopale. Indubbiamente qui si sviluppò un culto attorno a codèste reliquie, sebbene, viene notato giustamente, si tratti di un’altra martire siracusana, di nome Lucia e confusa per omonimia con la nostra Santa. La linea maestra della tradizione afferma che il suo corpo fu tolto da Costantinopoli nel 1204 dal doge veneziano Enrico Dandolo, dove lo aveva trovato assieme a quello di S. Agata, ed inviato a Venezia. Invece secondo una variante, documentata dal codice secentesco, o Cronaca Veniera, della Biblioteca Marciana di Venezia (It. VII, 10 (= 8607) f. 15 v.), esso sarebbe stato portato a Venezia, assieme a quello di S. Agata, nel 1026, sotto il dogado di Pietro Centranico.
Non sappiamo l’origine della notizia e se derivi da una fonte anteriore, per quanto un fondato sospetto induca ad un errore meccanico di amanuense, che ha letto 1026 per 1206, cioè gli anni della traslatio ufficiale. E nella Cronaca Veniera lo si accettò, armonizzando il fatto con il doge dell’epoca. Certo è difficile una precisazione storica di codeste reliquie, esente da qualsiasi sospetto, almeno allo stato attuale delle cose; per noi è prudenza elementare prendere atto della presenza del suo corpo in Venezia sin dal 1204. Ma si noti che in Venezia esisteva già una chiesa dedicata alla martire nel 1167 e 1182, come lo provano inequivocabili documenti, per cui è probabile che la determinazione di trasferire le reliquie nelle lagune sia stata originata dalla necessità di arricchire una chiesa veneziana, come d’altronde si verificò per altri casi consimili.
Comunque a Venezia il suo corpo fu collocato nella chiesa di S. Giorgio Maggiore e determinò un flusso di pellegrinaggi, che nel giorno d’ella festa (13 dicembre) assumeva proporzioni impressionanti, nell’andirivieni di imbarcazioni. Il 13 dicembre 1279 accaddero tragici fatti. Alcuni pellegrini morirono annegati in seguito al capovolgimento delle imbarcazioni per l’insorgere di un turbine improvviso.
Il Senato, ai fini di evitare ancora consimili dolorosi incidenti, decise che il corpo della Santa fosse portato in una chiesa di città. Fu scelta la chiesa di S. Maria Annunziata o della « Nunciata » nell’estremo sestiere di Cannaregio, dove furono poste le preziose reliquie trasferite da S. Giorgio il 18 gennaio 1280 con una solenne processione.
Nel 1313 fu consacrata una nuova chiesa dedicata a S. Lucia, nella quale le reliquie della Santa furono deposte definitivamente. Nel 1441 papa Eugenio IV dava questa chiesa, che era piccola parrocchia, in commenda alle monache del vicino monastero del Corpus Domini; nel 1478 invece papa Sisto IV, dopo una vivace contesa tra il monastero della Nunciata e la parrocchia, che a volte assunse fasi davvero ridicole, concedeva chiesa e parrocchia alle monache del monastero della Nunciata, che avanzavano diritti contro quelle del Corpus Domini sul possesso del corpo della Santa: la lite insorta fra i due monasteri fu risolta in favore di quello della Nunciata, come si è visto: però esso doveva sborsare ogni anno 50 ducati a quello del Corpus Domini.
Nel 1579 passando per il Dominio veneto l’imperatrice Maria d’Austria, il Senato volle farle omaggio di una reliquia di S. Lucia. Con l’assistenza del patriarca Trevisan fu levata una piccola porzione di carne dal lato sinistro del corpo della Santa. Altre reliquie della Santa si trovavano a Siracusa, recate nel 1556 da Eleonora Vega, che le ottenne a Roma dall’ambasciatore di Venezia’ così pure avvenne per alcuni frammenti di braccio sinistro, recati ivi nel 1656 da Venezia, dal cappuccino Innocenzo da Caltagirone. Reliquie ancora sono possedute a Napoli, Roma, Milano, Verona, Padova, Montegalda di Vicenza e a Venezia stessa, nelle chiese di S. Giorgio Maggiore, dei SS. Apostoli, dei Gesuiti, dei Carmini.
All’estero sono documentate a Lisbona nel 1587, con una reliquia ricevuta da Venezia; in chiese del Belgio nel 1676; a Nantes, in Francia, nel 1667. Nel 1728 una parte dell’urna fu donata a papa Benedetto XIII.Una nuova chiesa, al posto di quella antica, fu costruita tra il 1609 e il 1611, su schemi palladiani, riecheggiante l’attuale delle Zitelle, con due torri campanarie in facciata. Per completarla, giravano per la città alcuni incaricati dalle monache a raccogliere le offerte dei fedeli con la cassella concessa dal Magistrato della Sanità.
Il 28 luglio del 1806, in seguito alla soppressione napoleonica, chiesa e monastero furono chiusi e le monache si rifugiarono in S. Andrea della Zirada, portando con sé le reliquie della Santa. Poco dopo, non potendo rimanere lì per ragioni di spazio, con il consenso del Ministero del culto ritornavano ancora all’antica sede insieme con il corpo di S. Lucia.
Nel 1813 il convento di S. Lucia veniva donato dall’imperatore d’Austria alla b. Maddalena di Canossa, che vi abitò fino al 1846, quando si iniziarono i lavori per la stazione ferroviaria e per la demolizione del convento. Per il momento la chiesa non fu toccata. Invece nel 1860 dovendosi ampliare la stazione ferroviaria, nella stolida furia distruttiva dell’epoca, fu abbattuta anche la chiesa di 5. Lucia seguendo la triste sorte di tante altre chiese veneziane. Vero è che minacciava rovina, fatiscente ormai di secoli e di umane malizie. Si sarebbe potuto ripararla e risolvere diversamente le esigenze della stazione ferroviaria. Invece presi accordi con l’Autorità Ecclesiastica, si decise di trasportare il corpo della Santa nella vicina parrocchiale di S. Geremia. Per la traslazione, avvenuta l’11 luglio 1860, intervenne il patriarca Ramazzotti con tutto il Clero e popolo della città: sette giorni rimase il sacro corpo sull’altar maggiore, poi fu posto su un altare laterale in attesa di costruire la nuova cappella. Tre anni dopo, l’11 luglio 1863, il patriarca Trevisanato la inaugurava: essa era stata costruita con il materiale del presbiterio della demolita chiesa di S. Lucia su gusti palladiani. Finalmente per la generosità di Mons. Sambo, parroco di quella Chiesa (che nel frattempo venne ad assumere la denominazione « dei Ss. Geremia e Lucia ») su disegno dell’arch. Gaetano Rossi veniva preparato alla Santa un più degno altare in broccatello di Verona con fregi di bronzo dorato. Il 15 giugno del 1930 il servo di Dio patriarca La Fontaine lo consacrava e collocava il corpo incorrotto della Santa nella nuova urna in marmo giallo ambrato, che lo sovrasta. Nel 1955 il patriarca Angelo Roncalli, poi papa Giovanni XXIII, volle che fosse data più condegna importanza alle sacre reliquie, suggerendo l’esecuzione di una maschera d’argento, curata dal parroco di allora don Aldo Da Villa.
Infine, nell’anno 1968, per iniziativa del parroco prof. don Aldo Fiorin e la generosità di benefattori, la Cappella e l’Urna sono state completamente restaurate.