La relativa stabilità ed evoluzione sociale dei rapporti fra Ascoli e Fermo nella seconda metà del Quattrocento consentì una ripresa economica e sociale su tutto il territorio dove si videro moltiplicate le committenze e le iniziative artistiche favorite da notevoli investimenti progettati a partire sia dai centri maggiori (Ascoli, Fermo e Camerino) che dai centri minori, giustificando, da parte di Carlo Crivelli, la costruzione di un team di allievi collaboratori che contribuirono a generare il gruppo di Crivelleschi i quali, per seguire il pittore maestro spesso si trasferirono nelle Marche. Questo è il caso del fratello di Carlo, Vittore Crivelli, che dalla Dalmazia raggiunse il fratello per vivere e quindi produrre nella città di Fermo e nei centri limitrofi. Si assiste ad una puntellatura di opere estesa su tutto il territorio marchigiano, da cui nasce l’ambizioso tentativo di raccolta che il progetto Città crivellesche vuole mettere in luce.
La vasta produzione di opere di Carlo e Vittore Crivelli per le Marche indica, mentre crea, un modello polittico in cui l’apparato di icone saldamente strutturato compone un complesso apparato devozionale nuovo nella formula di particolare resa degli effetti di luce sui gioielli come sui volti ed i lineamenti nervosi. Attraverso gli ori ed i tessuti il maestro Carlo Crivelli formalizza la fisionomia dei santi in toni più alti ed accesi rispetto alla monotonia con cui abitualmente si circondavano le Vergini in trono. Nuove modulazioni plastiche arricchiscono i dipinti di questo periodo, tracciando per Crivelli una distanza dalla cultura classica pur sempre ricordata in un elegante indiscusso linearismo. L’utilizzo dell’antico come ornamento erudito torna nell’architettura del trono e nell’inserimento di elementi floreali e vegetali con valore simbolico, rintracciabili in tutte le opere analizzate in questo progetto.
Aggiunte ad una personale irrequietezza, le motivazioni che spingono Carlo ed al suo seguito Vittore a spostarsi operando su tutto il territorio marchigiano da Camerino a Fabriano, per Monte San Martino e Massa Fermana (dove compì il suo primo Polittico nel 1468) fino a Fermo ed Ascoli Piceno, per citare solo alcune tappe, dipendono principalmente dallo slancio delle numerose committenze da parte degli ordini ecclesiastici dei frati minori
che gli ordinarono centinaia di immagini sacre da lui realizzate con elevata professionalità; lo scambio di beni, di conoscenza ed esperienze che integravano la cultura alle altre componenti della società uniti alle iniziative civili e religiose danno vita ad una definizione del periodo di Rinascimento Adriatico, ma anche Età del Crivelli; espressione molto eloquente per il suo impressionante realismo capace perfino di turbare lo spettatore per la precisione dei tratti e molto accattivanti le tinte delle sue tele, ottenute utilizzando colori a tempera molto rari per quell’epoca. Un realismo quello del Crivelli, esasperato e perfettamente riconoscibile in ogni singolo particolare della sua opera: dallo stato d’animo del personaggio, agli oggetti, alle espressioni ed alle vesti.